C’è una potenza silenziosa nei gesti lenti, nelle parole non urlate, nei pensieri che trovano rifugio nella carta. Con la sua nuova rubrica per Amei Magazine, Cristiana Conti – poetessa, autrice e delicata custode dell’interiorità – ci accompagna in un viaggio dentro la scrittura espressiva: un invito a rallentare, ascoltarsi, ritrovarsi.
In questa seconda tappa, ci regala uno spazio intimo e terapeutico: quello della lettera. Scritta a sé stessi, o a chi non potrà mai leggerla, la lettera diventa non solo memoria, ma anche strumento di guarigione.
di Cristiana Conti (@lamiavocescritta)
Fino agli anni ’90, era ancora comune scriversi lettere: d’amore, d’addio, d’amicizia.
Ci si prendeva il tempo per scegliere le parole, imbucarle, aspettare una risposta. Era un gesto lento, personale, che lasciava una traccia.
Oggi, nelle edicole troviamo ancora qualche cartolina da vacanza, ma quasi nessuno le spedisce più. Eppure, erano un modo semplice e sincero per dire: “Sono qui e ti penso.”
L’era digitale ha accorciato le distanze: scriversi è diventato facile, immediato, a portata di clic.
Ma quante volte ciò che scriviamo rimane davvero con noi?
Ecco perché la scrittura di lettere può rivelarsi un atto profondamente terapeutico, soprattutto quando lo facciamo per noi stessi.
Hai mai sentito il bisogno di entrare in contatto con il te del passato?
O di inviare un messaggio al te del futuro?
Cosa gli diresti? Quale desiderio gli confideresti?
Avresti qualcosa da perdonargli?
Per queste e mille altre ragioni, purché autentiche, ti invito a scriverti.
Scriviti per conoscerti.
Per ringraziarti.
Per volerti bene, perdonarti, riconoscerti, gratificarti, abbracciarti.
Scriviti.
Puoi mandarti una mail, oppure spedire una lettera al tuo stesso indirizzo di casa: sono piccoli rituali che rafforzano il dialogo interiore.
Ma puoi anche scegliere, semplicemente, di scrivere e conservare la lettera con te.
Creano uno spazio speciale e protetto, in cui ascoltare le tue emozioni, guardarti dentro.
Forse, in questo momento, ti starai chiedendo che senso abbia.
Eppure, il potere di questa pratica è sorprendente.
Puoi scrivere a chi non c’è più, per riviverne il ricordo, per fare pace con il dolore, oppure per scrivere tutte le parole che non sei riuscito a dire.
Ma puoi scrivere anche a chi, pur essendo ancora presente, non riesci più a raggiungere emotivamente.
O a qualcuno da cui ti sei semplicemente allontanato.
Pensiamo, ad esempio, a un conflitto.
Scrivere può essere prezioso non tanto per l’altro, quanto per te.
Non è un modo per far valere le tue ragioni o rivendicare qualcosa: è un’occasione per guardarti dentro la relazione, per dare voce a ciò che spesso resta sospeso, taciuto.
È un gesto di cura verso te stesso.
Un modo per fare pace dentro di te.
Per lasciar andare.
Per perdonare.
O per perdonarti.
Ti invito a prendere carta e penna o, se preferisci, un supporto digitale.
Siediti in un luogo tranquillo.
Respira.
Ora comincia a scrivere una lettera al te stesso di un anno fa.
Domandati:
Cosa speravi, in quel momento?
Cosa hai imparato in un anno?
Quali esperienze hai vissuto?
Chi hai incontrato?
Quali emozioni hanno attraversato i tuoi giorni?
Rivolgiti a te con compassione.
Con una voce gentile.
Senza giudizio.
Accogli tutto ciò che emerge da questo dialogo.
Non deve essere una lettera perfetta.
Deve solo essere tua.
È un esercizio di consapevolezza: per ricordare chi eri e riconoscere chi sei diventato.
A presto, con il prossimo passo del percorso: “La paura di scriversi davvero”
Un’altra tappa di ascolto, cura e trasformazione. Perché la scrittura, se accolta con sincerità, può condurci dentro la parte più vera di noi stessi.
Un invito a continuare il viaggio dentro di sé, una parola alla volta.
Restate con noi, e con la voce scritta di Cristiana.
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25.6.2025